Tutti continuano a sostenere l’importanza dell’assunzione della responsabilità; di quanto questa virtuosa abitudine aiuti le persone nella loro crescita personale e nella loro autorealizzazione.
Perché quindi un titolo così provocatorio?
Perché la continua assunzione di responsabilità, cioè vivere responsabilmente la propria vita, è un atto di coraggio che, come tutti gli atti di coraggio, ha delle controindicazioni.
Partiamo da Viktor Frankl.
La proattività
Ne abbiamo già parlato, ma vale la pena ribadire il concetto, semplice eppure potente, alla base di ogni comportamento responsabile.
Proattività è una parola giovane, non ha neppure un secolo di vita. Nasce ad opera di Viktor Frankl, un neurologo austriaco di religione ebraica, che durante la sua deportazione in un campo di concentramento nazista, osserva i comportamenti umani. Si accorge che, pur in totale assenza di libertà, i prigionieri scelgono di agire in modo diverso: c’è chi si dispera, chi spera, chi aiuta, chi piange, chi tenta la fuga e muore, chi si allea con gli aguzzini…
Com’è possibile, allora, dedurre che, in situazioni ben più ricche di opportunità, le persone pensino e sostengano di non avere possibilità di scelta?
Inizia così la sua ricerca sulla capacità umana di rispondere consapevolmente al contesto e agli stimoli esterni attraverso azioni e comportamenti liberi.
Farsi carico di questa consapevolezza significa assumersi la responsabilità di cosa si fa e di chi si è. Significa essere proattivi.
La proattività permette all’essere umano di sviluppare in maniera concreta la consapevolezza di sé e di vivere dando un significato reale alla propria esistenza.
Per Frankl, proattività è sinonimo di significato della vita.
E fin qui, tutto bene.
La responsabilità
Il particolare senso di libertà e potere che conferisce la consapevolezza della propria proattività, ha un rovescio della medaglia molto pesante, che non sempre può essere neutralizzato dalla soddisfazione di essere padroni della propria vita: si tratta della responsabilità.
La libertà di scegliere ci rende immediatamente responsabili dei nostri risultati.
Niente più alibi, giustificazioni, colpe, dita da puntare a destra e a manca come radar in cerca della preda da sacrificare al nostro posto in nome della nostra sopravvivenza emotiva.
Se siamo noi ad aver scelto i nostri comportamenti, siamo noi ad avere le informazioni e gli strumenti per rispondere dei risultati ottenuti. Possibilità di dare risposta: respons-abilità.
Il concetto è facile ma, talvolta, impietoso.
Ecco quindi che la responsabilità diventa pericolosa.
La responsabilità senza coraggio può diventare pesante come un blocco di cemento legato a una caviglia.
Sappiamo che la responsabilità è nostra, perciò, per non trovarci a dover rispondere di errori, di scelte poco felici, di decisioni non adeguate, non facciamo, cadendo nell’orrido tranello che la vita ci tende continuamente: illuderci che non fare sia la soluzione; non facendo stiamo soltanto decidendo di non fare, e anche questa decisione ha conseguenze.
Responsabili-dipendenti
Quando ci abituiamo ad assumerci la responsabilità di ogni nostra attività e decisione, si sviluppa una sorta di dipendenza da quella stessa responsabilità. Non possiamo, e soprattutto non riusciamo, a immaginare qualcosa di cui non essere noi a risponderne in prima persona.
Cosa c’è di male? Potremmo chiederci. In effetti, sembra che questa abitudine non possa che essere sana e virtuosa.
Eppure c’è un pericolo anche in questo; è sottile, quasi impercettibile, eppure è capace di rovinarci – se pur in maniera benigna – alcuni momenti della nostra vita.
Talvolta, lasciar fare agli altri, goderci la sorpresa, affidarci alla guida di qualcuno è bello, può farci rilassare i muscoli della schiena, sempre così abituati a sopportare il peso di ogni singolo secondo di vita.
Tradotto, assumersi la responsabilità non può e non deve voler dire non fidarsi di nessuno, non delegare, non abbandonarci ogni tanto alle cure di chi ci vuole bene, senza dovere e volere per forza essere noi i registi di ogni sequenza del film.