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Comunicare: che passione!

Appassionati di comunicazione, esperti di comunicazione, professionisti della comunicazione. C’è addirittura una facoltà universitaria “Scienze della comunicazione”.

Non c’è ironia in queste parole, e neppure il desiderio di prendersi gioco di chi lavora e studia intorno a questi argomenti.

Anche noi ci occupiamo di comunicazione e usiamo strumenti e metodi per renderla il più efficace possibile.
No, non c’è ironia. C’è solo un po’ di perplessità nel constatare che, sempre più spesso, si deve ricorrere a letture, studi, corsi, progetti e percorsi universitari per fare ciò che, naturalmente, dovrebbe essere alla portata di ogni essere umano.

Cosa significa tutto ciò? Le risposte possono essere tante; non basta certamente qualche parola in un blog per sviscerare un argomento così vasto e complesso che ha implicazioni storiche, psicologiche, sociali, tecnologiche e culturali.

Ci limiteremo a condividere qualche riflessione.

 

Comunicare è un dono

Talvolta comunicare spaventa; se ne percepisce la potenziale pericolosità; si considera come ineluttabile la condizione del disallineamento costante tra i protagonisti della comunicazione e ci si impegna conseguentemente nell’inutile impresa di comunicare in modo da riuscire a trasmettere l’unico vero messaggio che abbiamo intenzione di condividere col nostro interlocutore.

Purtroppo, già il primo tratto di strada della nostra comunicazione è pieno di insidie, c’è infatti già uno scostamento tra ciò che vogliamo comunicare e ciò che effettivamente comunichiamo. Inoltre, potremmo porci anche la domanda: abbiamo sempre le idee così chiare su cosa vogliamo comunicare?

Dopo queste premesse, potremmo giungere alla conclusione che comunicare è un’attività pericolosa e inutile, dalla quale tenersi a distanza tutte le volte che possiamo.

Ma comunicare è lo strumento meraviglioso che ci permette di entrare in contatto con gli altri. Ed è da sottolineare che non è “uno strumento”, è “l’unico strumento” a nostra disposizione. La comunicazione è ciò che ci rende capaci di condividere la nostra vita col resto del mondo, non solo gli altri esseri umani, qualsiasi essere vivente.

È un dono prezioso che unisce tutte le esistenze e le allinea su una stessa frequenza. Qualche volta l’allineamento è perfetto, altre volte è necessario calibrare e ricalibrare costantemente per riuscire a trovare un terreno condiviso. Anche questa perpetua ricerca è un dono che permette a ognuno di scoprire, andando sempre più nel profondo, anche se stesso.

 

Comunicare se stessi

Non è un refuso. Si dice spesso “comunicare con tutto se stesso” per esprimere il desiderio di utilizzare al meglio e al massimo tutti i canali di comunicazione di cui si dispone. È un concetto ineccepibile, che esprime la volontà di rendere la comunicazione il più coerente ed efficace possibile.

Cosa significa, perciò, “comunicare se stessi”?

Non comunichiamo sempre e soltanto un contenuto. Quando comunichiamo, stiamo svelando anche noi stessi, come persone, come sedi di pensieri e di emozioni.

Quando comunichiamo non stiamo inviando soltanto messaggi, stiamo donando un po’ di noi all’altro, stiamo contaminando la vita e l’essenza del nostro interlocutore, e ce ne stiamo facendo contaminare a nostra volta.

Ogni atto comunicativo entra a far parte della nostra esperienza e, in misura più o meno importante, lascia una traccia.

Non possiamo pensare che una comunicazione, anche banale e frettolosa, scivoli su di noi senza alcun significato. Qualche volta basta un sorriso o uno sguardo di rimprovero o di sfida per alterare positivamente o negativamente le nostre frequenze vitali. Ogni volta che comunichiamo abbiamo la responsabilità di far cambiare, anche se in maniera infinitesimale, lo scorrere della vita di colui al quale la nostra comunicazione è rivolta.

 

L’illusione tecnologica

Si comunica, sempre più, attraverso la tecnologia.

Le linee disturbate, i ritardi nell’arrivo dell’audio, i problemi di connessione, l’immagine non nitida: quante volte capita di gestire una comunicazione in presenza di uno o più disturbi di questo genere?

Si può veramente comunicare attraverso la tecnologia? Forse si sta parlando di un altro tipo di comunicazione; si sta parlando della gestione di incontri in cui le persone emettono dei messaggi.

Qualcuno potrebbe non essere d’accordo con questa affermazione; potrebbe sostenere che si comunica comunque, anche quando non si possono usare tutti i tre livelli della comunicazione: verbale, non verbale e paraverbale. Certo è che comunicare con qualcuno di cui non si può vedere (come capita spesso) l’espressione del volto, non si può riconoscere alcuna sfumatura della voce a causa di interferenze o cadute di linea, non si può vedere la gestualità e la postura perché l’inquadratura propone solo il primo piano, o addirittura porzioni di viso, è un’attività quanto mai lontana da ciò che può essere definito come comunicazione.

Che fare allora quando non è possibile incontrarsi in presenza? Ben venga la tecnologia! Usiamola e facciamone tesoro. Allo stesso tempo, talvolta si corre il rischio di cadere nella trappola di una sorta di pigrizia (fisica e mentale) in cui alcune aziende oggi organizzano riunioni a distanza anche quando i partecipanti sono fisicamente nello stesso palazzo.

La tecnologia offre un’illusione – abbastanza efficace – di comunicazione, che va bene quando non si può fare altrimenti. E vale la pena di sottolineare queste parole “quando non si può fare altrimenti”.

 

Riappropriarsi della comunicazione

Dobbiamo riappropriarci della comunicazione, nel suo insieme. Con la sua magia, con i suoi pericolosi trabocchetti, col fascino del suo misterioso potere.

Dobbiamo reimparare a fidarci della nostra umana e naturale attitudine a comunicare, rischiando anche di non capirci. Tanto, se cerchiamo soluzioni alternative fatte solo di documentazioni tecniche, di dati statistici, di elaborati calcoli logaritmici, non avremo più paura di fallire la nostra comunicazione, ne avremo la certezza.

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