Cambiare per crescere
Per fare un passo avanti nel nostro percorso di vita è necessario cambiare. Non è certo una considerazione particolarmente originale. È una legge naturale che ci accompagna sin da quando siamo stati concepiti.
Ciononostante, spesso, ce ne dimentichiamo e viviamo il cambiamento come una disgrazia, come un incidente di percorso col quale dobbiamo fare i conti.
La vita, non solo degli umani, è cambiamento. Ciò che è statico e non più soggetto a mutamento è morto (e, per essere corretti, anche ciò che è morto è soggetto a un deterioramento organico che, di fatto, è un cambiamento). Addirittura, anche ciò che non è vivo è soggetto a cambiamenti: pensiamo all’usura degli oggetti, alle variazioni nelle tinte di un dipinto, all’ossidazione dei metalli. L’incongruenza della nostra esistenza è che continuiamo a studiare per allungare la vita il più possibile e, contemporaneamente, ci intestardiamo nella vana ricerca di un modo per non cambiare e non correre rischi.
Perché, è chiaro a tutti noi che ogni tipo di cambiamento, anche il più banale, ci pone di fronte a un rischio ulteriore – oltre a quelli che corriamo costantemente ogni volta che respiriamo – di peggiorare qualche ambito della nostra vita, di sbagliare, di fare danni.
E questo è vero sia nella vita personale, sia in quella professionale.
Come fare, quindi, per riuscire a convivere serenamente col cambiamento e trarre addirittura stimoli, idee e risultati positivi da esso?
Non c’è la formula magica; esiste invece un percorso di avvicinamento al cambiamento e di conoscenza della nostra attitudine, dei nostri paradigmi e delle nostre reazioni al cambiamento che può portarci a entrare in relazione con esso con sempre maggiore apertura, trasformandolo gradualmente da nemico ad alleato.
Quando il cambiamento è cercato
Il cambiamento, ogni tanto, arriva, non voluto e non gradito; altre volte siamo proprio noi che lo cerchiamo e lo determiniamo. Immaginiamo le situazioni in cui vogliamo cambiare ruolo, in cui lavoriamo per creare nuove alleanze o fusioni con altre società, oppure, in ambito personale, quando decidiamo di cambiare abitazione, o di iniziare una nuova vita accanto a un’altra persona.
“Quando il cambiamento è voluto, è ovvio che non crea alcun problema”.
No, non è per niente ovvio. E ne siamo tutti assolutamente coscienti.
Di solito, si vivono specifiche fasi che due ricercatori americani – Don Kelley e Daryl Conner – hanno chiamato “ciclo emotivo del cambiamento”. Questo ciclo è composto di 5 fasi specifiche che corrispondono ad altrettanti stati emotivi.
L’ottimismo ingiustificato è quel particolare stato d’animo che abbiamo nel momento in cui decidiamo di voler attuare un cambiamento. Sembra tutto semplice e abbiamo una ingiustificata percezione di noi come invincibili e pronti a gestire ogni situazione.
Il pessimismo giustificato. È normale che in un percorso si incontrino difficoltà, vincoli e problemi; da un punto di vista emotivo, questi hanno un effetto devastante sul nostro entusiasmo e ci fanno vedere il nostro obiettivo sempre più lontano e irraggiungibile, fino a farci dubitare di aver fatto la scelta giusta nel decidere di attuare questo cambiamento.
Se riusciamo a superare questa fase, e non sempre riusciamo – infatti, numerosi progetti di cambiamento non arrivano a compimento – approdiamo alla fase 3:
il realismo incoraggiante. Questa terza fase è la più delicata e la più importante in assoluto in un percorso di cambiamento. Continuando nel nostro percorso con determinazione e rimanendo focalizzati su quanto abbiamo deciso di fare, anche il nostro stato d’animo cambierà e saremo pronti per la fase successiva.
L’ottimismo giustificato è il momento in cui ci rendiamo conto che difficoltà, problemi e vincoli possono essere superati e, realmente, sono stati superati. A questo punto vediamo avvicinarsi il nostro traguardo e ci rendiamo obiettivamente conto che è alla nostra portata. Continuiamo quindi il nostro cammino sino ad arrivare alla meta.
Tuttavia, il nostro percorso di cambiamento non è ancora terminato. Specialmente nel mondo del lavoro, il nostro cambiamento non è sufficiente a garantire il cambiamento di una macchina complessa come un’azienda. Dobbiamo adoperarci per consentire al cambiamento di esprimere tutto il suo potenziale. Ciò è possibile aiutando le persone che sono un po’ più indietro nel percorso, che hanno subìto il cambiamento che noi abbiamo deciso e quindi sono mosse probabilmente da fattori motivanti più deboli rispetto ai nostri.
L’ultima fase è la conclusione. Ricordiamoci che cambiare non è sempre facile, e raggiungere l’obiettivo non è scontato. È importante, perciò, che ogni progetto di cambiamento portato a termine, sia esso personale o professionale, sia celebrato e festeggiato. Questo non vuol dire darsi alla pazza gioia e pensare di essere degli eroi, vuol dire che il raggiungimento dei risultati creati da un cambiamento deve diventare esperienza per consentirci altri cambiamenti che, proprio grazie ai successi ottenuti, saranno sempre più entusiasmanti e sempre meno fonte di preoccupazione.
Quando il cambiamento è subìto
Il discorso è molto diverso quando il cambiamento non l’abbiamo voluto, neppure lontanamente desiderato. Ci è mai capitato di essere stati trasferiti in azienda, dovendo di conseguenza cambiare ruolo, tipo di lavoro, team di riferimento e, addirittura, luogo in cui vivere? Abbiamo mai vissuto sulla nostra pelle un progetto di fusione tra aziende, una pesante riorganizzazione, l’introduzione di un nuovo sistema informatico?
Chi l’ha vissuto sa cosa significa, sia a livello organizzativo sia a livello emotivo.
Anche in questi casi, il passaggio tra diversi stati emotivi si dipana lungo un periodo di tempo più o meno lungo, in base alla portata del cambiamento e a quanto noi siamo direttamente coinvolti.
All’inizio sono la paura e la preoccupazione a fare la parte del leone. Queste emozioni sono rinforzate dalle chiacchiere di corridoio – di solito senza alcun fondamento di verità – e dai voli di “fantasia horror” che ne derivano. In ogni caso, anche in assenza di questi acceleratori, ogni volta che si va verso una situazione ignota e potenzialmente problematica, avere paura è abbastanza naturale.
Successivamente, arriva la rabbia, che nasce da un errato ma comprensibile senso di ingiustizia di cui ci sentiamo vittime. “Ma guarda cosa doveva succedere! Proprio a me, proprio ora!”. Questo è un esempio di frase che, spesso, accompagna i nostri pensieri quando stiamo attraversando questa fase emotiva.
Corroborato dalla paura e dalla collera, emerge il pessimismo, una sorta di senso di impotenza e di sopraffazione di fronte a quanto sta succedendo. Abbiamo la percezione che tutto funzioni peggio di prima, che tutto sia più lento e più difficile, che ormai i “tempi d’oro” (anche se nella realtà non erano nemmeno di latta) non torneranno più.
L’innato istinto di conservazione, ci induce, dopo lo scoraggiamento, a decidere di provarci, perché nuotare costantemente controcorrente è faticoso e non ci porta da alcuna parte, visto che non siamo salmoni. Quindi, iniziamo ad accettare il cambiamento, a sperimentarlo, a trovare soluzioni per integrarlo nella nostra vita e coglierne i lati positivi.
Molte volte, superati gli ostacoli emotivi, ci accorgiamo che, in fondo, la nuova situazione non è per niente rispondente al quadro a tinte fosche che avevamo dipinto e, perciò, ritroviamo lo slancio e la motivazione per riprendere il nostro cammino con positività ed entusiasmo.
Per non raccontarci favole, alcune volte il cambiamento non porta per niente nuove opportunità e rinnovato entusiasmo; obiettivamente, le condizioni di lavoro, addirittura la qualità della vita, si sono abbassati notevolmente. Aver superato le fasi di condizionamento emotivo è comunque indispensabile per poter analizzare e valutare con lucidità la situazione e decidere le azioni che vogliamo mettere in atto.
Gestire il cambiamento in sintesi
Dopo questa veloce descrizione di come, in genere, ci rapportiamo col cambiamento, ci possiamo chiedere: “E quindi, qual è il modo corretto per gestire il cambiamento?”.
Non esiste una regola che vada bene per tutte le situazioni e per tutte le persone. I cambiamenti stessi possono essere di tipo e di portata molto diversi tra loro. E noi stessi, in differenti momenti della nostra vita, possiamo reagire a uno stesso cambiamento in maniera addirittura opposta.
Può comunque essere d’aiuto sapere e capire quali sono le fasi emotive che guidano la relazione col cambiamento; ciò ci permette di riconoscere in quale fase ci troviamo per riuscire a gestirla in modo consapevole, anziché esserne vittime.
Scoprite nelle varie sezioni del nostro sito i metodi e gli strumenti che Modus Maris propone e sviluppa per vivere con pienezza e soddisfazione il cambiamento.